venerdì 16 aprile 2010

Progetto Camoscio d'Abruzzo

Tra le ricerche scientifiche del Parco, una delle più importanti è senz'altro quella, appena avviata, che riguarda il Camoscio d'Abruzzo o appenninico.
Contestualmente a questi studi specifici avviati, dopo anni, con le modeste disponibilità economiche attuali del Parco e che saranno coordinati da Sandro Lovari della Università di Siena, l'Ente ha predisposto un apposito e completo "Piano di gestione del Camoscio appenninico" della durata di tre anni, redatto in collaborazione con le Università di Siena, Torino e Bologna e con l'Agenzia Regionale dei parchi del Lazio, destinato, ove realizzato, a protrarre gli effetti per tempi ben più lunghi.

Come è noto, dichiara il Presidente del Parco Giuseppe Rossi, il Camoscio appenninico è una specie di considerevole valore conservazionistico, essendo l'unico mammifero endemico italiano presente nella "Lista rossa dell'IUCN degli animali in pericolo di estinzione" e l'unica specie italiana presente nella prima Appendice della CITES, la Convenzione sul Commercio Internazionale di Specie Animali e Vegetali.
Per questo merita la massima attenzione del Parco e meriterebbe la massima considerazione di tutte le altre Istituzioni in qualche modo interessate alla conservazione delle specie e della biodiversità. In primo luogo, ovviamente, dello Stato; ma anche le regioni, nel cui territorio è presente, dovrebbero essere particolarmente impegnate nella sua tutela, anche in base alla Direttiva Comunitaria Habitat e al Decreto del Presidente della Repubblica del 1997 che la recepisce. La Direttiva, infatti, chiede alle regioni interessate la messa a punto di specifici protocolli e la misurazione di parametri per la determinazione dello stato di conservazione della specie, considerata specie "prioritaria". Purtroppo, realizzare azioni comuni e stabilire sinergie tra questi organismi non sempre è facile e spesso risulta impossibile.

Il Parco ospita la popolazione "madre" di questo ungulato, che negli anni novanta è stato reintrodotto sui monti del Gran Sasso e della Maiella e più recentemente sui monti Sibillini, i tre "nuovi" parchi nazionali dell'Appennino centrale.
Studi approfonditi sono necessari in quanto esistono vari fattori di rischio della popolazione, secondo quanto indicato nel Piano d'Azione Nazionale e riguardano la strutturazione della popolazione, la interazione con altri ungulati selvatici e domestici, le problematiche sanitarie.
Anche nel Parco questi fattori sono presenti e occorre lavorare e lavorare bene per superarli.
Ecco allora il Piano di ricerca triennale e di gestione pluriennale che si incentra, in sintesi, sulla biologia e l'ecologia della specie; i parametri di popolazione e il monitoraggio sanitario; gli studi sulle praterie di alta quota e le diversità vegetazionali e relativo monitoraggio della alimentazione; la valutazione di eventuali interferenze comportamentali; la determinazione dei parametri di popolazione e la sovrapposizione spaziale con altre specie di ungulati, selvatici e domestici; la determinazione delle modalità di riproduzione. Una attenzione speciale verrà posta al monitoraggio e alla gestione sanitaria.
Il Progetto è stato trasmesso al Ministero dell'Ambiente, dal quale si attendono – è l'auspicio dell'Ente Parco -, partecipazione al progetto, collaborazione opportuna e, ovviamente, risorse finanziarie appropriate. Sarebbe molto importante e un primo bel segnale nell'Anno Internazionale della Biodiversità.

Fonte: parks.it

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